Intervista ad Andrea Carloni, autore di “Breve storia di Jimmy Late” Primo Posto nel Concorso & MyBook Anthology

pubblicato in: I nostri Libri, Interviste 0
1) Ciao Andrea, innanzitutto complimenti per la qualità del tuo racconto e per la tua vittoria nel concorso. Ci racconti un po’ di te, della tua esperienza come scrittore e dell’ispirazione che sta dietro “Breve storia di Jimmy Late”?

Un saluto a voi, che ringrazio della considerazione e del riconoscimento per il mio racconto. Per quanto mi riguarda, l’attitudine alla scrittura, così come per la lettura, l’ho sempre esercitata fin da molto giovane, anche se in maniera assai discontinua. Di recente invece ho avuto modo di acquisire una certa costanza in entrambe le attività, con l’arrivo della tecnologia digitale e degli ebook. Probabilmente non avevo un buon rapporto con la cellulosa. Da qualche anno mi dedico alla composizione di racconti e nel caso di specie, senza dubbio certe ‘finzioni’ di Borges hanno avuto la loro influenza nella ‘Breve storia di Jimmy Late’. Aggiungo che nel periodo in cui lo stavo scrivendo, ero impegnato nella lettura della parte più brillante, a mio avviso, dei Promessi Sposi, ovvero la sua appendice, a cui sento di dovere qualcosa: la “Storia della colonna infame”.

2) Quali sono i tuoi autori e i tuoi generi letterari preferiti? E i tuoi musicisti preferiti?

In letteratura e nella musica di opere notevoli ne abbiamo avute così tante che ci si potrebbe perdere in liste interminabili. Di conseguenza, dovessi scegliere un classico, fra tutti penserei all’Iliade, preferendo la traduzione della Onesti a quella istituzionalmente pomposa di Monti. Inoltre voglio menzionare i romanzi filosofici di De Sade (120 giornate di Sodoma e Justine & Juliette su tutti), uno degli autori più sottovalutati e fraintesi; Pasolini e Camus sono stati forse gli ultimi a parlarcene con un certo acume. Per l’altrettanto complicata selezione musicale, citerei la trilogia Verdiana, la Boheme pucciniana, e il verismo da Mascagni a Leoncavallo; gli italiani hanno talmente primeggiato su tutti, all’epoca, che in questo campo ci si può permettere di essere nazional-popolari. Tentando infine di ricollegare il classico al contemporaneo, da cui si era partiti, mi viene in mente Zappa, forse l’unico che si sia seriamente e brillantemente occupato di orchestrazione nel rock.

3) Il tuo testo può essere interpretato come una satira dell’industria musicale e della rivoluzione portata da streaming e ascolto digitale? Qual è la tua posizione in proposito?

Delicata faccenda è quella dell’interpretazione. In Huckleberry Finn, Twain la condanna minacciando di perseguire, bandire e fucilare chi nella narrazione ricerchi rispettivamente uno scopo, una morale e un intreccio. Di contro, Tolstoj in Guerra e Pace o nella Sonata a Kreutzer, ad esempio, non indugiava affatto in excursus esplicativi della propria opera. Tuttavia, per dirla alla Dante, ‘Io non Twain, io non Tolstoj sono’, per questo non mi resta che esser lusingato di ogni interpretazione che il mio racconto possa suscitare. Quanto alla diffusione digitale della musica, a parte la comodità di fruizione su cui siamo tutti d’accordo, penso che ad oggi il risultato più rilevante sia la qualità sonora offerta all’ascoltatore comune, chiaramente superiore a quella di cui decenni fa disponevano i nostri nonni nelle loro case. Per il resto non è tanto il mezzo che fa grande il musicista, semmai il contrario.

4) È interessante ricordare che il mondo del rock ha spesso incontrato scenari legati alla letteratura distopica e al tema della disabilità (ricordiamo su tutti “Tommy” degli Who e i lavori elettronici di Neil Young dei primi anni ’80). Secondo te la musica, in particolare il rock, ha veramente la possibilità di abbattere queste barriere fisiche e sociali?

Senza entrare nel merito delle problematiche familiari del Neil Young dell’epoca, devo però ammettere che musicalmente in quel periodo aveva toccato il fondo. Di Townshend invece trovo interessante anche il suo sarcasmo fra le righe diretto verso l’inettitudine della rabbia giovane della sua “My Generation”, le cui manifestazioni restano di fatto ingenue e balbu

zienti; la ritrovo evidente in Sally Simpson, uno dei personaggi minori ma più a fuoco di Tommy. Ken Russell se ne era accorto. Venendo alla domanda, più che ricercarvi una possibilità di superamento di barriere fisiche o sociali, dovremmo piuttosto assicurarci che il rock oggi sia effettivamente ancora in grado per lo meno di allietare l’ascoltatore.

5) Da qualche anno purtroppo molte star della musica pop ci stanno lasciando in età relativamente giovane. Secondo te il progresso scientifico e medico con cui si confrontano Jimmy e la sua famiglia potrà compensare gli effetti spesso negativi della fama? O al contrario sarà proprio questo progresso a far aumentare ulteriormente le pressioni sugli artisti, le aspettative nei loro confronti?

Potrei togliermi cinicamente dall’imbarazzo del dilemma con argomentazioni prettamente demografiche: ovvero che le premature dipartite di tanti Cobain siano di fatto bilanciate da quelle tardive di altrettanti Cohen. Ho voluto invece complicarmi la vita e ipotizzare un progresso medico che tenda ad una sanità perfetta delle future generazioni, dove tutti gli individui potranno essere parimenti adatti e godere delle medesime possibilità di riprodursi, annientando di fatto la selezione naturale e, di conseguenza, lo stesso motore dell’evoluzione; appunto questo scenario mi ha riportato alla mente l’immagine dei disprezzabili ultimi uomini dello Zarathustra nietzschiano – apertamente citati nel racconto – , quella “razza inestinguibile che non genererà più stelle”. Di quest’ultime allora dovrà preoccuparci non tanto la longevità, quanto l’assenza.

6) Per il tuo futuro di scrittore hai in mente nuove storie, qualcosa che bolle in pentola?

Sì, ho ancora nuove storie che mi ronzano in testa; ho avuto abbastanza spunti per comporre qualche decina di racconti e sto proseguendo con una certa regolarità a scriverne ancora. Dopodiché vorrei procedere con un progetto di romanzo che ho iniziato da un po’. Del resto se ne era accorto Baudelaire, che l’ispirazione arriva quando si vuole, ma quando non la si vuole più non è detto che se ne vada. È quanto mi riprometto di imparare nel lavoro della scrittura: tenere a bada questa febbre, più che alimentarla incondizionatamente.

Intervista a cura di Stefano Aicardi.

Guarda la video-intervista all’autore qui.

Breve storia di Jimmy Late e altri racconti

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