L’industria italiana è arrivata al “capolinea”. Giorgio Irtino ci spiega la sua visione

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Pubblichiamo l’intervista di Chiara Gradassi a Giorgio Irtino, autore del saggio “Industria al capolinea. Analisi dell’industria italiana: i fattori chiave dello sviluppo, la crisi e una visione per il futuro

1) Perché ha sentito il bisogno di scrivere un saggio sul settore industriale italiano proprio in questo periodo?

Ho cominciato a scrivere questo saggio nel 2016 ma solo dopo quanto accaduto negli ultimi mesi ho trovato stimoli e argomenti giusti per concludere il testo. Il Covid-19 ha determinato un punto di svolta drammatico e imprevisto che ha obbligato le aziende a chiudere con il passato e a scegliere se scomparire dal mercato oppure entrare in una nuova fase di trasformazione radicale.

2) Il suo saggio si intitola “Industria al capolinea”. Ci vorrebbe spiegare perché ha usato la metafora del capolinea?

Il capolinea indica normalmente il termine di un viaggio; si può decidere se fermarsi lì oppure ripartire. Le aziende italiane (e non solo) hanno compiuto un lungo viaggio che, dagli anni ’60 fino a ieri ha attraversato diverse fasi, ha vissuto momenti di successo e periodi di crisi senza mai fermarsi. Oggi questo viaggio è arrivato alla stazione Covid-19, il capolinea: non si può più proseguire il vecchio percorso e quindi bisogna scegliere cosa fare domani.

3) Com’era lo stato del settore industriale prima dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia? Le aziende avrebbero potuto fare qualcosa di diverso, in passato, per non trovarsi così in difficoltà oggi?

Negli ultimi 10 anni il settore industriale ha vissuto una lenta e dolorosa agonia alla quale il Covid-19 ha solo dato il colpo di grazia. Lo stato di crisi era ormai evidente e irreversibile da tempo, ma la vana speranza di una possibile ripresa ha sempre illuso le aziende di poter sopravvivere evitando di compiere quella riconversione che avrebbe potuto proiettarle nel futuro. Questo è stato l’errore più grave.

4) Cosa sono state costrette a cambiare le aziende italiane durante la pandemia?

Hanno dovuto cambiare sia la visione strategica che le abitudini operative. Si sono dovute adattare a nuove esigenze di mercato adottando nuove tecnologie e modalità di gestione. La produzione che prima era prevalentemente delocalizzata è tornata a essere on-site con una supply chain corta; la forza lavoro che prima era in presenza è stata virtualizzata con lo smart working e con le videochiamate. Sono stati stravolti tutti i paradigmi tradizionali.

5) Sono molti anni che lei lavora in questo settore, secondo la sua esperienza, cosa dovrebbero fare le aziende italiane per affrontare questa crisi? Com’è la sua visione del futuro: è pessimista o ottimista su come l’industria italiana riuscirà a superare questo momento difficile?

Per affrontare la crisi le aziende non hanno scelta, devono innovare sia in termini di idee che di tecnologie. Le idee vengono dalle persone, per questo motivo sarà fondamentale ridare centralità alle risorse umane. Le tecnologie sono mature e disponibili, bisogna solo imparare ad usarle efficacemente. Voglio essere ottimista sul destino dell’industria, non possiamo rassegnarci a diventare il museo di ciò che siamo stati.

Per saperne di più:

Industria al capolinea

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