Intervista ad Alfonso Citterio, autore di “I Segreti dell’Eremo”

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1) Buongiorno Alfonso. Innanzitutto complimenti per il suo romanzo, per le sue doti di scrittura e per l’accuratezza della ricostruzione storica. Ci parla un po’ di lei, del suo percorso come autore?

La mia passione per la scrittura ha radici lontane: ricordo che da ragazzo mentre tutti dormivano, mi sedevo al  tavolo della cucina a scrivere con selvaggio fervore di tutto e di più. Poi con il lavoro e gli impegni di famiglia non ho più avuto tempo. Ora che sono in pensione mi sto dedicando sempre di più a questo piacere. Con I Segreti dell’Eremo sono alla mia terza pubblicazione.

2) Quali sono state le fonti di ispirazione per il suo romanzo? La tragica vicenda di Giacomino e Carlotta ha una base storica o è interamente frutto della sua fantasia?

Le sale del palazzo di per sé sono fonte di suggestioni ed emozioni soprattutto se visti attraverso il filtro narrativo di Sam, il vecchio custode, protagonista reale, con il quale è nato un sincero rapporto confidenziale. Giacomino e Carlotta sono maturati nella mia mente superando la fantasia e divenendo con lo scorrere delle righe quasi reali, tanto si uniformavano perfettamente all’ambientazione storica.

3) Qual è il personaggio del romanzo a cui lei si sente più vicino, in cui si riconosce maggiormente?

Diciamo che Will presenta alcuni tratti caratteriali che mi sono abbastanza familiari, soprattutto quando si getta alle spalle il passato proponendosi di esplorare il mondo da solo e finisce per rendersi conto di quanto Tina, la persona che casualmente il destino gli fa conoscere, diventi il suo nuovo universo da scoprire. Questo mi ricorda alcuni momenti della mia giovinezza.

4) Una delle qualità più apprezzabili nel suo romanzo è sicuramente l’attitudine descrittiva: lo spazio è a tutti gli effetti il coprotagonista della vicenda, e nello sviluppo della trama colpisce molto il passaggio progressivo dagli spazi ampi e “generosi” della prima parte (l’elegante Palazzo Malacrida) ad ambienti sempre più chiusi e claustrofobici. Potremmo dire che nel suo romanzo, e più in generale nella sua scrittura, lo spazio, gli ambienti, hanno una funzione simbolica? Quale importanza hanno cioè per lei il movimento, il viaggio, lo spostamento tra spazi diversi?

Sì, nei miei scritti ho privilegiato spesso la dimensione spazio tempo, allargando questo concetto fino ad esplorare aspetti surreali, ma sempre all’interno di un perimetro terreno ben definito, che permetta al lettore di ancorarsi e non smarrirsi. Il movimento, il viaggio e lo spostamento tra spazi diversi, sono in definitiva tre aspetti di una stessa rappresentazione. Infatti c’è la necessità di proiettarsi in una azione, di viaggiare prima di tutto con la mente e infine provare a sublimare i nostri sogni anche al di là di qualsiasi frontiera umana.

5) Sempre su questo tema: il paesaggio della Valtellina è noto per combinare in modo peculiare ariosità e “intricatezze”, vale a dire grotte, sentieri nascosti, passaggi impervi e picchi improvvisi. Visitare la Valtellina significa quasi provare un senso di “isolamento” dal resto del territorio lombardo, che tuttavia può avere due risvolti opposti: una possibilità di pace e un senso di prigionia, di eccessiva lontananza dal mondo.  Secondo lei è possibile affermare che questa “ambiguità” della natura si riflette anche nelle architetture della zona, come lo stesso Palazzo Malacrida?

La Valtellina è in effetti un angolo abbastanza remoto della nostra regione e concordo con il senso di pace indotto da questo benefico isolamento. Ciò permette allo spirito di dilatarsi al di là degli spazi angusti e severi delle antiche architetture della zona proprio per la meravigliosa forza della natura che ci circonda e che, attraverso la bellezza dei paesaggi, propone riflessioni profonde quanto quelle suggerite dalla bellezza degli stupendi interni affrescati di Palazzo Malacrida che con alcune prospettive panoramiche tendono a proiettare il visitatore verso l’esterno, ampliando gli orizzonti all’infinito per superare di slancio l’eventuale senso claustrofobico dell’antico palazzo.

6) Vorrebbe anticiparci qualcosa su nuovi progetti narrativi che bollono in pentola?

Beh, al di là del tempo, che è sempre tiranno, perché tra attività di volontariato e altro le giornate sono spesso piene, so che non riuscirò evitare di fare le ore piccole a scrivere, come amo fare, con un sottofondo di musica classica. Le idee non mancano, devo solo decidere se lavorare alla storia di un quartiere di periferia tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso, tornando ai ricordi della mia adolescenza o affrontare un tema più attuale molto discusso e lacerante come quello del “fine vita” con una storia di suicidi e accanimenti terapeutici.

Spero comunque di tornare al più presto a incontrare i miei lettori.

Intervista a cura di Stefano Aicardi

I segreti dell’Eremo

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